Cosa sentono i bambini nell’utero?

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Entro la ventesima settimana di gestazione, il feto ha recettori nervosi sensoriali diffusi su tutto il corpo: questo significa che è in grado di percepire il contatto quando con le sue manine tocca parti del suo corpo. Non è raro durante le ecografie vedere bimbi che si succhiano il pollice: la bocca è una zona particolarmente innervata, la cui sensibilità è la prima a svilupparsi.

La risposta sensitiva dei feti è accertata anche per gli stimoli di tipo nocicettivo, ovvero gli stimoli dolorosi. Già a diciotto settimane gestazionali il sistema nervoso del feto produce noradrenalina in seguito ad uno stimolo doloroso (Giannakopoulos et al. 1999).

Esiste una disciplina, l’haptonomia perinatale, che si occupa proprio delle risposte sensoriali dei piccoli nel ventre materno a stimolazioni tattili prodotte dalla madre appoggiando le mani sulla sua pancia: il contatto amorevole, le carezze, i dolci massaggi contribuiscono a creare un legame relazionale col bimbo che nascerà e aiuta i genitori ad impostare una comunicazione di tipo tattile orientata alla accoglienza del bambino nel mondo.

Il feto vive nove mesi immerso nel liquido amniotico: questo liquido acquisisce un suo “sapore” specifico, determinato anche dal tipo di alimentazione che la madre segue. Dopo la nascita, i bambini mostrano di riconoscere l’odore del liquido amniotico della loro mamma e di sentirsi rassicurati da esso: Varendo et al. nel 1998 ha dimostrato che i neonati piangono meno se esposti all’odore del liquido amniotico della madre.

Uno studio di Schaal e collaboratori, effettuato nel 2000, ha confermato questi risultati dimostrando che i bimbi mostrano, nei giorni immediatamente seguenti alla nascita, una preferenza verso gli odori che hanno già sentito diluiti nel liquido amniotico, portati dai cibi di cui è solita nutrirsi la madre. Nello specifico, in questo studio, i bambini mostravano alla nascita e fino ad alcuni giorni dopo preferenza verso l’odore di anice se la mamma aveva assunto abitualmente anice durante la gravidanza.

Pertanto risulta chiaro che la credenza popolare secondo la quale alcuni cibi rendano “cattivo” il latte materno non ha valenza scientifica: i bambini vivono dentro la loro mamma per nove mesi, sono abituati al sapore e all’odore del liquido amniotico in cui sono immersi e che hanno ingerito per settimane. Se la madre continua con la sua abituale alimentazione in allattamento, i bambini ritrovano nel latte materno il gusto a cui sono stati esposti in utero, che conoscono e che li ha accompagnati nella loro vita prenatale.

I feti riescono anche a percepire le fonti di luce poste sul ventre materno: passando attraverso i tessuti della madre la luce assume un tono rossastro diversificando, con la sua assenza o presenza, l’ambiente uterino.

Ormai accertata è la percezione da parte del feto della voce della madre e di suoni e rumori provenienti dall’ambiente esterno, ai quali reagisce con una risposta di tipo motorio. Curiosamente pare che siano i feti femmina a mostrare maggiormente questa capacità di reazione (Leader et al. 1982): alcuni autori hanno affermato che le bambine mostrano una maturazione neurofisiologia in utero più precoce rispetto a quella dei maschi (Singer et al. 1968).

Alcuni aspetti tipici della lingua, ad esempio alcuni fonemi o gli aspetti prosodici, sono avvertibili dal bambino in utero (Querleu 1988). Questo fenomeno può contribuire a spiegare perché i neonati mostrino una spiccata preferenza, oltre che per la voce della loro mamma, anche per quella che sarà la loro lingua madre: gli aspetti caratteristici della lingua sono uditi dai bambini e diventano un suono familiare.

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